Soffio di fremito, abitudini sbagliate che si consolano delle preoccupazioni altrui, quant’è verde il vento stanotte, non mi sono mai sentito le pupille sudare tanto, Nina d’Amore dell’Est, quello che dici risuona di cattedrale-miniatura nella teca del Museo Etnografico ma ti assicuro che non me ne importa, basta qualche rimbombo per giustificare tutto quel che ti parla, e resta il catrame sull’amaro, le gole sono aperte, srotolate, sullo spiedo rotante del kebab austrungarico, prendono caldo e si girano dall’altro lato, distese sui sassolini sgretolati della lunga strada camionata della prima periferia, come volerseli assorbire se li mangia e aspetta che qualcuno se la venga a riprendere, senza troppe ambizioni di riarrotolarla di nuovo, a ritmo di musica si contorce e grida, muta, non te l’aspetteresti un accendino che schiocca scintille preciso a tempo del ritmo da osteria, senti adesso il violinista che ti guarda, sentilo come si avvicina per implorarti monete con valori inesprimibili in valuta corrente, lo senti sgomitare la fisarmonica e tutte insieme si tirano dietro il coro dei compassati ululanti che con la testa squadrata vengono alla balaustra delle tavolate condivise con la coppia di Gemelli Occidentali, che pure riescono a trovarsele da qualche parte quelle monete, non si sa come, il fracasso che fanno i musici non si può sopportare amico, dagli qualcosa, dai, crocerossismi tipo le Bulgare Nuove accomodate con gli stipendi esternalizzati che trovano modi di riempire i boccioni di plastica da tre, quattro, cinquecento litri di birra calda, ispirata dalle goccioline della condensa amarissima che risuona nelle teste dei volenterosi come siringhe di insopportabilità da parco divertimenti, nel parco, la panchina è abbastanza comoda per chiedere informazioni, prima di essere invitati a soffiare nei tamburi degli imbuti rovesciati, prima di vederci rosso da tutte e due le orecchie un momento prima di ingoiare il panino con la salsiccia di porco marinata nel cumino e i cani si avvicinano, e i cani vengono chiamati per nome da ignoti proprietari improvvisati, e i cani vogliono il cumino, e i cani sentono le voci, e i cani obbediscono, e pensano al cumino cinquecento chilometri più lontani dal guinzaglio dei colleghi dell’autogrill, e quando ancora non se ne riescono a dare spiegazioni nuovi canotti di pane gelido sfilano palle di carne e verdure grigliate mesi e mesi e anni prima, e ricotta e pomodori tutto insieme alla senape di una panca più lontana, fitte nell’addome e un caffè stabilizzatore, e ancora quelli se ne pensano al cumino, come si fossero persi episodi intergalattici di qualche racconto interessante davanti al focolare del Kyuboto con le terrazzine per fumare senza andare in strada, e quando ti risvegli, qualcuno più interessato di te la coperta l’ha trovata e te l’ha messa addosso senza badare troppo ai cani, finalmente.