Salì di lontano un’ombra di ripetizione, cresceva lungo le pozze d’acqua dei marciapiedi e ci fissava da lontano con occhi di sogno, vestito di speranze ammuffite nei frigoriferi al metanolo delle pause pubblicitarie. Se ne percepiva la presenza osservandosi i piedi, in serate fredde e pungenti della tarda età. Tutto inutile, sforzi clandestini per trattenersi le mutande con gli avambracci, e finivano sempre per tremare e screpolarsi, sotto il peso delle forzature, delle pantomime notturne, il caos degli animi ordinati. Venne in su fino al naso col portamento distinto e la resurrezione da gratta e vinci, coi cinquanta centesimi ancora invischiati nella polverina grattata via, e si presentò ai fratelli dei lampioni. L’odalisco era un mezzo di sovranità, una vettura termovalorizzata di arie condizionate e sputi di vanità in faccia al vetro specchiato dell’orologio da tasca, accanto al pugno. Succedeva spesso, succede ancora, ogni volta che i girasoli si prendono malattia e si tranquillizzano i nervi del collo, una volta tanto. Succede ogni volta che nei campi coltivati i fiori clandestini sbocciano bianco frizzante e la condensa cola lungo le terre sassose e sconnesse, in rigoli di puro estratto, piccole boccette di assoluta e inviolabile nostalgia. Il genocidio loro lo conoscono bene, e se ne rammentano quando passa il motore una volta ancora a scuotere le teste con guantino di lattice e occhio severo, mille alveari dal passo incerto e compassionevole che tirano fuori il bisturi dalla cravatta e lo tengono saldo, nella crepa chiusa dentro la tasca, pronta a uscire, a salutare a festa grande gli oceani coagulati del prossimo, amato come se stesso, come se fosse disteso, e tanto alla fine è lo stesso. La calcolatrice batte ticchettii senza tregua, conta i millimetri degli scontrini, i litri e litri di cotone misto nylon ammatassati in gola, e tutto quel che si raccontano, cullati dai pezzi di vetro della moquette, in giorni profumati di nuovo vomito da bestia domestica, animali in fuga verso la reincarnazione che si distinguono per l’eleganza e per l’inimitabile aristocratica vicinanza con le loro feci solidificate dalle settimane di polvere e pulviscolo ardente.